I
Oggi voglio provare la stretta soffocante della morte per ricordarmi degli umori di piscio di quei fantasmi che mi passavano accanto. Voglio morire almeno un po' per dimenticare la vanagloria di gesti e sapori dolciastri, di odori che svaniscono nella puzza di fumo di un giorno di sabato.
Voglio morire almeno un po' per perdere la faccia e lo sdegno dei malintesi
II
Lode a chi ha creduto nella ragione spinta nel baratro. A chi ha visto la passione invitata ai tavoli dei farisei con la lingua lunga e le palpebre appesantite per il dolce riverbero dei fumi di oppio. Lode a chi non ha ceduto al calcolo impietoso e graffiante.
Lode a chi ci ha aperto gli occhi sulla loro insipienza
III
Scacciare l'indifferenza dell'ego di Marzo. Mi sono provato costumi meno rabbiosi e di color
ruggine. Niente. Ho teso le orecchie alle lodi da mercante e mi sono sentito debole. Niente.
IV
Il senso delle cose è scritto nei rovi dimenticati e nei materassi imbruniti e lerci del mondo di sotto. Lì si celano immagini lignee del passato che sbiadiscono alla luce dei lampioni, immane sui corpi venduti e poco scaltri.
Profeta dei tempi andati e mendicante di senso dei tempi futuri. Aspetto il momento dei rammendi e delle cose riordinate in fretta, per riprendere la via di casa fra i fumi dell'alcol.
Solo allora il senso delle cose importa per quel tanto che l'arena torni a riempirsi
V
Notte di guardia. Registri vuoti su uno specchio leggero. Lamenti. Rimedi improvvisati di un Dio che gioca a dadi sul sagrado di corpi rigonfi e indifferenti. Il tempo scorre. Si preannuncia l' indifferenza di un nuovo giorno, felici che sia finito quello precedente. Domani avrò pietà di te, sarò empatico e consumerò l'attesa insieme a te. Oggi no
VI
Ride il clown fra letti di ospedale e paesi spogli, privi di sassi argentati e tramonti di fuoco. Si fa beffe della morte e degli scarti di cibo che ricoprono pavimenti avidi di sangue
Allegri, sorridete guardando il dito e lasciate perdere la luna. È uno specchio ingannevole fatto apposta per evocare profumi inebrianti di donna e desiderare il riposo sotto le foglie dell'olmo
VII
La paura ti scruta tra le fronde del sambuco. La tua faccia, proprio quella, le labbra fremono, gli occhi luccicanti di attesa.
Le preghiere del vespro non servono, il dio degli inganni ha già esaudito le tue richieste e rimani fermo.
Ascolti il lento gorgoglio dell'acqua e ti immagini guerriero.
Domani sarà sangue e rivolta, coraggio e lampi argentati di baionette. Forse domani
VIII
Oggi si cantano vittorie sul crinale della montagna ventosa, irta, sempre sfuggente all'eco dei giorni a venire.
Campane a festa risuonano sui banchi interrati di militanti con occhi di ghiaccio.
È ora di separare l'amico dalle brume di maggio.
Condividere con lui le attese di sangue, innocenti svaghi di chi gioca in borsa e suona meste melodie.
Sapremo presto quanto scommettere sul passato sepolto
IX
Diventare vecchi. Abbandonare il proprio ego nei vicoli dell'urbe tossica e godere dei tramonti e della gioia del venerdì sera senza aspettarsi sguardi ammiccanti e pose indecenti. Senza abbellire l'egoismo con l'afrore di gesti belligeranti, avvolti in armature di cenere.
Ci aspetta la fretta dell'ulivo, carico di frutti smeraldo. Andremo con passo incerto e sorrisi ingialliti, bocche di somari senza memoria. Felici di fingere destini altrui
X
Tumulti di Ottobre. Ombre impaurite affollano l'androne del palazzo d'inverno, accompagnate in processione da litanie di donne senza colpe e con rivoli opachi attorno agli occhi. Untorelli con insegne colorate riposano dietro le dune sabbiose, sorseggiando vini dal sapore d'argilla, specchi di ricordi trascorsi all'ombra del palmeto . "La gente come noi non molla mai", cantano con la gioia mortale del venerdì santo.
Passeremo l'inverno ad ascoltare inni sepolcrali e a compiere rituali votivi nelle vie del mondo di sotto, ma senza il fragore degli stadi
XI
Che volete da me?
Ho seppellito il rancore e le fosche
simmetrie dell'ego con le ossa dei morti di Francia.
Che volete
da me?
Ho sopportato le scorie di lavori malfatti, per difendere l'onore
e sopire il timore della giustizia.
Che volete da me?
Ho
raccontato storie e raccolto memorie di passanti ingobbiti e
carichi di nostalgia per il mare e le cime ariose delle mie
montagne.
Che volete da me?
Sono morto almeno un po' e non ho
disdegnato l'ombra degli ulivi. Ho indossato vestiti color ruggine e
non ho provato niente. Ho spinto la ragione nel baratro e mi sono
beato dei suoi lamenti.
Che volete da me?
Ho rovistato nei
rovi insanguinati per cercare un senso nelle cose e ho schiumato
sangue su materassi imbruniti e lerci.
Ho rincorso il clown
intento a pulire il sangue su pavimenti di marmo.
Ho pregato il
dio degli inganni e mi sono fatto beffe del suo fardello.
Ho
ascoltato i canti della vittoria, paziente come un mendicante
sordo.
Ho abbandonato il mio ego nei vicoli dell'Urbe tossica.
Che
volete da me?
Sto solo ammirando il riverbero pigro dei tramonti
di Febbraio e l'armonia di un letto di rose
XII
Domani non avrò interesse a scegliere i doni del tempo e le vie tortuose, perché la vita continuerà immutata, senza urla festose e ragliare di asini che irridono alla fine. Domani sarà l'onda del dispiacere, storpi, vandali e mendicanti rancorosi a ricordare i primi passi.
XIII
L'arte degenerata,
da linee adombrate di volti di donna, perfetti lasciti della nostalgia di gonne svolazzanti e di peschi fioriti, con passo greve e sorrisi tatuati, arriviamo allo scempio di linee invisibili che si dissolvono al grido di vendetta.
Il gobbo sapiente che si imbeve di carte sudate e consuma l'orgoglio su cumuli di sapere ingiallito al lume di candela, lascia il posto a guitti irridenti dalla lingua sciolta e dal volere comandato da un io indifferente al sangue e alla menzogna.
Adorabili gli scarabocchi, dicono che sono tratti distintivi di un'epoca, marchi sui portoni di un bordello di anime morte
XIV
Giorno di regalìe del resto vacuo e smisurato di ciò che resta di noi.
Simulacri vestiti a festa corrono frenetici, salmodiando il senso della vita mentre arraffano pezzi di specchi scomposti e a poco prezzo, riflessi di un ego immerso nel muschio selvaggio e nei religiosi silenzi.
Tutte le ferite tacciono, tutti i gemiti si trasformano in sinfonie di cuori senza più nemmeno l'ombra della tragedia.
È Natale, il giorno della vittoria sui morti viventi
XV
Inverno pandemico.
Affacciati alle finestre contiamo i passi plumbei e guardiamo, spogli e unti di Natale, gli aliti insofferenti trasformarsi in anelli di ghiaccio.
Non siamo né migliori né peggiori, abbiamo solo il fiato corto e scacciamo le ombre della paura dai nostri tetti assolati.
Pensiamo alla solidarietà spinti dai sensi di colpa, ma subito dopo cerchiamo riparo nelle spire del serpente e nei seni prorompenti di donne dagli sguardi avventati e le bocche cucite.
XVI
È tutto così leggero e insensato, il capodanno, le smorfie sottili, le carezze sotto la magnolia infuocata. Un nuovo desiderio di albori già dimessi, di epoche dove tutto cambia e niente ripaga il prezzo di tale desiderio. La rivoluzione annuncia l'era della fine di ogni principio e dei patti di sangue. Ci siamo è il tempo giusto, è l'ora, lo vedo dal volo dei gabbiani e dalle urla di donne dai volti tinti di rosso e senza più vergogna. Lo vedo dal terriccio umido e profumato, che cela i ricordi e nasconde la nebbia di novembre
XVII
Sub specie..
Si capisce la verità dell'uno quando le membra si lacerano sotto il peso degli anni. Quando invochi l'altruismo come medicina contro la pazzia dei vecchi. Quando desideri la morte per gioia di vivere e l'oblio dell'assenzio per superare l'imbarazzo e non vedere sorrisi compiacenti. Quando gli amici cadono dentro gli antri profondi del crisantemo
XVIII
Ho viaggiato. Nei torrenti bui del maggio odoroso. Ho sentito dolore e raccapriccio. Mi sono voltato più volte perchè ti ho lasciato indietro, ma ho pensato solo al mio ego balordo. Ho giocato con il narcisimo lamentoso seguendo tuoi passi affaticati mentre mi schernivi chiamandomi piccolo eroe immaginario senza palle.
Resta l'amicizia dei senzatetto, ombre sfocate nelle periferie di Kabul. Resta quella esilarante mediocrità, che ti fa digerire vini ammansiti dall'odore del benzene
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