Se dovessi parlare senza filtri, direi che la realtà spogliata di qualsiasi rappresentazione mentale sarebbe forse più corrispondente a una visione laica e disincantata dell'essere. Zero psicologismo e massima "oggettività". Però che palle. Le rappresentazioni generano emozioni e le emozioni contribuiscono al senso e all'orientamento dell'azione. Il sale della vita. Arriva il momento però in cui occorre guardare in faccia alla realtà nuda e cruda. La sinistra in fatto di rappresentazioni è un albero spelacchiato e secco da morire. Una prateria un tempo fertile e ora arida come se ci avessero buttato il sale sopra e se l'avessero percorsa mandrie di buoi. Insomma ci si dovrebbe domandare, se si vuole ancora credere nella missione del cambiamento, cosa può smuovere gli animi della persone e indurle a desiderare quel cambiamento. Basterebbe forse un'ideale trascendente e il calore di una comunità. Potrebbe ancora funzionare
"L'infame involontario" è un membro di una ristretta categoria di persone, di per sè non necessariamente disoneste intellettualmente. L'infame involontario però è pur sempre un infame, oggettivamente spregevole nel suo esprimersi e nella costruzione delle sue tesi. A differenza dell'infame "volontario" soggettivamente infame, che coltiva la sua infamia in piena sintonia con la sua personalità, senza alcun senso di colpa ed è totalmente asservito alle esigenze del potere, l'infame involontario ha una storia travagliata alle spalle, fatta di conflitti interiori, di esperienze al limite, spesso contrassegnate dalla violenza come emersione di un percorso interiore in cui il parassita della doverizzazione ha imposto scelte radicali seppur sofferte. Parliamo di una visione della giustizia universale dove si impone la scelta di stare dalla parte del più debole e degli sfruttati senza fare sconti alla propria coscienza, consapevoli di dover compiere scelte ...
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