Vorrei parlare delle cantine di maggio,
del profumo del mosto,
del rosso accecante,
invece parlerò del senso di dovere
raggelato dal timore di ossa stritolate.
Del senso di colpa per gli arti raccolti in scatole parlanti,
che non interrogano
e non sono interrogate.
Vorrei parlare di donne leggiadre,
di gonne svolazzanti fra il turbinio di pollini
che solleticano le narici.
Ma parlerò invece del nichilismo dei poveri,
del sangue senza sconti
e di quella voce interiore
che canta inni alla morte,
fra lo sciabordio di natanti
che si affrettano verso nord,
nella speranza di lasciare indietro volti e deserti noti.
Vorrei parlare finché posso,
ma senza fare discorsi amari
e senza rigirarmi in un loculo
con pareti a tinte fosche
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