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Il mio nome è qualcuno

Il mio nome è qualcuno,
qualcuno che vorrebbe
scrollarsi di dosso
la tristezza di mondi cupi
è la fretta del disonore.

Cosa ho fatto per
meritare un posto fra coloro
che costruiscono ponti
tremolanti fra mondi
di bianchi e neri,
maschi
e femmine,
carnivori
e vegani,
pragmatici ragionieri
e protettori dell'orsa malvagia?
Niente, solo di tanto in tanto
discese verso gli inferi
e invocazioni al nulla eterno
per curare pulviscoli di anima
dispersi dal vento dell'est.

Domani compiremo l'ultimo giro del mondo,
capiremo se il secolo delle
passioni tristi è alla fine
o se dobbiamo aspettarci altre guerre
e altre epidemie di cervelli sanguinanti
e albe fiaccate da attese ribelli.

Il racconto va avanti,
le narrazioni proseguono,
perchè il nulla ha molto spazio
per le digressioni dei vinti.
Non c'è nessun messaggio di speranza,
se vogliamo scolari col fucile in spalla
dobbiamo rimettere indietro
le lancette del tempo

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Vergogna

  Tutto degrada tranne la vergogna, nei cuori di tenebra non c'è vergogna. Vergogna è ansimare di cupi teatranti e sentimenti di mezzi uomini. Vergogna è anima di agnello sfuggito al latrare dei cani, vergogna è il ciglio abbassato del superuomo e il desiderio di morire restando vivi   Voglio seppellire la vergogna nell'oscurità del borgo  e nella gaiezza dei conventi, voglio dimenticare il sangue, il lavacro degli dei, le colpe del mondo profondo e tetro.

La violenza

È tempo ormai che ho smesso di menare le mani, ma posso sempre ricominciare, in fondo diceva l'amico dei bassifondi è come andare in bicicletta. Non sopporto l'ombra nera che avvolge tutto e offusca ogni memoria di ponti sull'acqua e di maldestri abboccamenti di femmine  col cuore in affanno. Non sopporto la vigliaccheria che ti avvelena l'animo e proietta immagini della violenza benedetta dal cattivo maestro o usata come un destino di pietra dal sicario dell'ultima serie TV, surrogati della forza interiore dell'Übermensch. Eppure è lì, nella violenza, nell'amaro in bocca, nei rimpianti e nel ruggito dell'eroe che intravedi la salvezza e l'onore

Giano Bifronte

Giano bifronte, betulle di sangue e memorie dell'orbo di sotto. Guerra di orridi consigli e coscienze disperse nei vicoli di Leopoli. Donne del Donbass che fabbricavano bombe per il partito, vecchie, rancorose ormai, aspettare sull'uscio di casa la benevolenza di donne col saio e uomini accalorati. Giano bifronte, Gaza non vale una messa e nemmeno la pietà di infami belanti. Polvere di mattoni, rotte di fumo e sangue atteso. Pianure, pianure, detriti, memorie cancellate, volte di cannoni. Normalità cancellata la domenica della partita e delle risa di donne, freni stridenti del carretto dei bambini. Camici insanguinati dei tirocinanti dell'est, bravi medici, e padri e figli del rancore. Gaza, Ucraina, Ucraina, Gaza, la notte dei corvi viventi spazza via ogni ragione complice, prigionieri del vento oblungo. Giano bifronte, infami flagelli che non coprono le urla di madri, sedano con l'alcol e cattivi presagi la coscienza del secolo breve