La quercia ci scruta.
Non ha un'autocoscienza,
ma assolve al brulicare di corpi
che infestano il suo cammino
Osserva con occhio distopico, tetragono,
i mulinelli di vento e le speranze degli scolari.
Immagino la comunità delle querce
che non può marciare verso soli di cera
e non ne sente il bisogno.
Vorremmo essere quelle querce
e non ricordare l'addio al fratello
e al genitore, che attende
le pupille infuocate sul limitare
dell'ombra che custodisce una lapide.
Poi torna l'allegria dei gesti contesi,
la nenia del sub specie aeterniatis
e la loggia dei sanpietrini,
dove ti giochi
spiccioli di fortuna
da grattare con le unghie.
Rimane l'amore eterno,
la caffettiera che bivacca sul fuoco
e emette richiami di merli,
l'immagine di una donna
che si alza dal letto
indossando la tua camicia.
Bello,
ma troppo provvisorio per desiderare
di vedere un giorno le albe di Antares
"L'infame involontario" è un membro di una ristretta categoria di persone, di per sè non necessariamente disoneste intellettualmente. L'infame involontario però è pur sempre un infame, oggettivamente spregevole nel suo esprimersi e nella costruzione delle sue tesi. A differenza dell'infame "volontario" soggettivamente infame, che coltiva la sua infamia in piena sintonia con la sua personalità, senza alcun senso di colpa ed è totalmente asservito alle esigenze del potere, l'infame involontario ha una storia travagliata alle spalle, fatta di conflitti interiori, di esperienze al limite, spesso contrassegnate dalla violenza come emersione di un percorso interiore in cui il parassita della doverizzazione ha imposto scelte radicali seppur sofferte. Parliamo di una visione della giustizia universale dove si impone la scelta di stare dalla parte del più debole e degli sfruttati senza fare sconti alla propria coscienza, consapevoli di dover compiere scelte ...
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