La quercia ci scruta.
Non ha un'autocoscienza,
ma assolve al brulicare di corpi
che infestano il suo cammino
Osserva con occhio tetragono
i mulinelli di vento e le speranze degli scolari.
Immagino la comunità delle querce
che non può marciare verso soli di cera
e non ne sente il bisogno.
Vorremmo essere quelle querce
e non ricordare l'addio al fratello
e al genitore, nella coltre inferma che custodisce una lapide.
Poi torna l'allegria,
la nenia del sub specie aeterniatis, la loggia dei sanpietrini,
dove correvi con la bambina bionda, mano nella mano, a cercare granelli di fortuna.
Rimane l'amore eterno,
la caffettiera che bivacca sul fuoco
e emette richiami di merli,
l'immagine di una donna
che si alza dal letto
indossando la tua camicia.
Bello,
ma troppo provvisorio per desiderare
di vedere un giorno le albe di Antares
Tutto degrada tranne la vergogna, nei cuori di tenebra non c'è vergogna. Vergogna è ansimare di cupi teatranti e sentimenti di mezzi uomini. Vergogna è anima di agnello sfuggito al latrare dei cani, vergogna è il ciglio abbassato del superuomo e il desiderio di morire restando vivi Voglio seppellire la vergogna nell'oscurità del borgo e nella gaiezza dei conventi, voglio dimenticare il sangue, il lavacro degli dei, le colpe del mondo profondo e tetro.
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