Si vorrebbe cogliere ciò che di eterno c'è
nei cuori, nelle sorprese di Maggio
e nel folle vaneggiare.
Si vorrebbe guarire chi si è smarrito,
con odori di incenso
e raccomandazioni sull'infinito e oltre.
Si vorrebbe scorrere l'eterno sulle pagine di Marx
e nei volti dei perdigiorno,
nelle parole vuote di Foucalut
e nella salubre pratica
di medicine dell'anima,
ultimo rifugio di cappellai matti pentiti
e avidi.
Si vorrebbe cercare di nuovo la narrazione dei vinti
e vincere, come nel dolce avvento
saziato da fiumi di vodka e operoso costruire
mondi popolati di fantasmi riconoscenti.
Si vorrebbe cogliere ciò che di eterno c'è,
ma alla fine cosa c'è di più eterno del singolo uomo
e delle sue scommesse,
del suo sognare l'infinito negli sguardi
disincantati, nelle lune bianche
e nelle avventure di una notte.
Nelle serate con gli amici e nei folli gesti
per strappare un sorriso e scacciare l'odore
di crisantemo,
fiore che associamo alla morte,
immaginadola come un teschio putrido con il capo coperto di fiori.
Vorremmo cogliere ciò che di eterno c'è
nel risvegliarsi dal sonno della ragione
e scoprire che oggi è giorno delle partite di coppa.
Vorremmo, ma di infinito c'è rimasta
solo l'eterna ripetizione
Tutto degrada tranne la vergogna, nei cuori di tenebra non c'è vergogna. Vergogna è ansimare di cupi teatranti e sentimenti di mezzi uomini. Vergogna è anima di agnello sfuggito al latrare dei cani, vergogna è il ciglio abbassato del superuomo e il desiderio di morire restando vivi Voglio seppellire la vergogna nell'oscurità del borgo e nella gaiezza dei conventi, voglio dimenticare il sangue, il lavacro degli dei, le colpe del mondo profondo e tetro.
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