Passare dal secolo breve al secolo morto,
morto di passioni e di speranze,
di attese snervanti per un futuro di soli infuocati
e di benessere, segno palpabile del progresso.
Segno della storia che percorre passaggi obbligati
calpestando corpi inermi e suscitando orgoglio
e fede negli eroi, che unici al mondo
ignorano l'egoismo e il disprezzo per la verità.
Sono uomini grandi che hanno come missione
il rischiararsi dell'orizzonte cupo
e il sostegno alle schiene ricurve
e alle mani callose e unte degli operai.
Si radunano in locali fumosi,
con l'aria impregnata di passioni carnali
che distraggono dalla fuliggine nera
di fabbriche e quartieri.
Una missione senza messia,
di fede prossima all'anima purificata
da ogni istinto animale. Un abbraccio caldo
di compagni, amici, regine con i seni scoperti
e le armi nascoste sotto le sottane, pronte alla lotta.
Dio è morto e gli eroi sono morti con loro?
La narrazione è incanto di vie fatate del mondo, è la strade di viandanti
e sentimenti che creano il mondo esteriore.
La narrazione detta il senso,
l'accorato sentire il dolore altrui
e le storie umane.
Senza narrazione non c'è nè pietà, nè illusione,
solo un vuoto rincorrersi di banalità
e autocommiserazione.
Sarebbe questo il senso dell'evoluzione umana?
La vita cruda senza un prisma di luce che inganni la percezione
e dia un senso alle scorie legnose,
alle rive di cemento,
e ai sogni di chi sogna il futuro?
"L'infame involontario" è un membro di una ristretta categoria di persone, di per sè non necessariamente disoneste intellettualmente. L'infame involontario però è pur sempre un infame, oggettivamente spregevole nel suo esprimersi e nella costruzione delle sue tesi. A differenza dell'infame "volontario" soggettivamente infame, che coltiva la sua infamia in piena sintonia con la sua personalità, senza alcun senso di colpa ed è totalmente asservito alle esigenze del potere, l'infame involontario ha una storia travagliata alle spalle, fatta di conflitti interiori, di esperienze al limite, spesso contrassegnate dalla violenza come emersione di un percorso interiore in cui il parassita della doverizzazione ha imposto scelte radicali seppur sofferte. Parliamo di una visione della giustizia universale dove si impone la scelta di stare dalla parte del più debole e degli sfruttati senza fare sconti alla propria coscienza, consapevoli di dover compiere scelte ...
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