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Le favole sono finite

È  una questione di narrazione. Semplicistica come affermazione, ma la narrazione è costruzione di mondi interiori e proiezione verso la realtà. È progetto per il futuro e rappresentazione del reale con una disposizione psicologica e con un bagaglio storico che differenzia una narrazione dall'altra. Abbiamo vissuto un'epoca favolistica, culminata nel secolo breve, dove gli elementi della narrazione giocavano su dicotomie cariche di contenuti emotivi, che poggiavano su identità marchiate dal bene e dal male. L'eroe è quello buono che combatte l'ingiustizia, il cattivo è l'espressione della volontà di dominio e di spraffazione. È il male. Chiunque voleva leggere la realtà secondo questo canone doveva fare una scelta o semplicemente ignorare il racconto e pagare lo scotto di rimanere fuori dala storia o vivere di disincanto e di indifferenza. Ecco, questa narrazione, questo gioco di ruolo oggi è in crisi. I motivi risiedono nel fisiologico esaurirsi di un filone che durava ormai da secoli, dalla caduta degli idoli e dall'affermarsi di una subcultura del riuscire nella vita come metafora dell'apparire (appari solo se riesci e hai successo e se sei inconsapevole o al di là del bene e del male). Se non appari non sei. Fine. A questo si aggiunge un mutamento cognitivo che legge il reale in base ad algoritmi esangui, incapaci di contemplare la poesia del gesto e l'eroismo.

Come questo si ripercuote sulla politica. Semplice, non si cerca più il mondo nuovo, la giustizia, l'eroismo, la ricompensa per il giusto, il compiacimento della propria coscienza. Si ricerca il mezzo migliore utile allo scopo di apparire. Punto. Cosa fare allora? In alcuni contesti l'alone favolistico sopravvive e non è stato del tutto sussunto nella nuova realtà e questo favorisce la sopravvivenza di isole dove ancora si narra la favola degli eroi e si compiono gesti rituali e giuramenti di appartenenza. Se queste isole riescono a comunicare con il resto del mondo e a mediare interessi sociali diversi, possono creare consenso, altrimenti vanno alla deriva, verso l'estinzione. 

Non so trarre altro da questa mia analisi

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  Tutto degrada tranne la vergogna, nei cuori di tenebra non c'è vergogna. Vergogna è ansimare di cupi teatranti e sentimenti di mezzi uomini. Vergogna è anima di agnello sfuggito al latrare dei cani, vergogna è il ciglio abbassato del superuomo e il desiderio di morire restando vivi   Voglio seppellire la vergogna nell'oscurità del borgo   e nella gaiezza dei conventi , voglio dimenticare il sangue, il lavacro degli dei, le colpe del mondo profondo e tetro.

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